+T1 Io canto l'arme e 'l cavalier sovrano, che tolse il giogo a la citta< di Cristo. Molto co 'l senno e con l'invitta mano egli adopro< nel glori|oso acquisto; e di morti ingombro< le valli e 'l piano, e correr fece il mar di sangue misto. Molto nel duro assedio ancor sofferse, per cui prima la terra e 'l ciel s'aperse. Quinci infiamma^r del tenebroso inferno gli angeli ribellanti, amori e sdegni; e, spargendo ne' suoi veneno interno contra gli arma^r de l' Ori|ente i regni: e quindi il messaggier del Padre eterno sgombro< le fiamme e l'arme e gli odi indegni, tanto di grazia die< nel dubbio assalto a la croce il Figliuol spiegata in alto. Voi che volgete il ciel, superne menti, e tu che duce sei del santo coro, e fra giri la< su veloci e lenti, porti la face luminosa e d'oro; il pensier m'inspirate e i chiari accenti, perch'io sia degno del toscano alloro: e d'angelico suon canora tromba faccia quella tacer ch'oggi rimbomba. Cintio, che di virtu< gli antichi esempi rinovi, e co 'l tuo lume Italia illustri, l'alte memorie de' passati tempi difendi omai dal vari|ar de' lustri; e mentre il gran Clemente i sacri tempi^, di sole in guisa, avvien che purghe e lustri, egli, del re del ciel vicario in terra, il cielo, e tu Elicona a me disserra. Egli del tuo voler, ch'e< santo e giusto, fa dritta norma al mondo e viva legge. E i gran duci d'Europa, e 'l grande augusto, e 'l gran re che piu< regni affrena e regge, e gli altri ancora, e l'Etiope adusto, e qual piu< lunge il vero culto elegge, e stelle e segni occulti in ciel discopre, onoran tutti a prova il nome e l'opre. Tu l'altrui lingue piu< famose, e l'arti piu< belle, e i sacri studi in pregio torni; e pria che d'ostro il crin, l'interne parti di virtu< vera e vera luce adorni: e tu l'alte sue grazie a me comparti, perche< l'invidia se ne roda, e scorni: che< dal giudicio suo benigno io pendo, e vita a me, non pur a' versi attendo. Ma quando fia che la tua nobil chioma porpora sacra in Vatican circondi, quanto sara< piu< bella Italia e Roma! E piu< co} Ma che giovava (oime<{|})che del periglio vicino fusse omai presago il core, se cedea, dubbia in ritrovar consiglio, la mia tenera etate al mio timore? Prender fuggendo volontario esiglio, e ignuda uscir del dolce albergo fore, grave era si< ch'io fe^a minore stima di chiuder gli occhi ove gli apersi in prima. Temea, lassa! la morte, e non avea (chi 'l crederia?) poi di fuggirla ardire: e scoprir la temenza ancor temea, per non affrettar l'ora al mio morire. Cosi< inqui|eta e torbida traea la vita in un continuo marti